
Come la Old Economy può sfruttare il Caos dell’Era Digitale
- On 19 enero 2016
- 0 Comments
All’inizio della crisi industriale degli anni ottanta scrissi un articolo in cui spiegavo perchè l’economia post industriale italiana non poteva che essere ancora industriale. Lo sviluppo del settore dei servizi, allora in espansione, non avrebbe mai potuto compensare la perdita di PNL e la riduzione del valore dei salari medi generato dalla de-industrializzazione. Trenta anni sono passati, ma la contingenza in cui si trova attualmente l’industria italiana è in parte figlia delle scelte operate in quegli anni. Ora però questa si innesta in un contesto di caos geopolitico-tecnologico che rende i prossimi anni particolarmente critici per il nostro mondo industriale.
Gli anni ‘80 ci hanno portato il collasso del sistema politico e la transizione infinita nella quale siamo ancora immersi. Sul piano economico hanno prodotto due situazioni che segnano in modo pesantemente negativo la struttura del sistema. In primo luogo hanno generato un debito pubblico doppio rispetto alla media europea. Da circa venti anni l’economia italiana cresce meno della media europea in quanto costretta a più pesanti politiche di rientro dal debito pubblico. Inoltre lo Stato italiano, a parità di pressione fiscale, dispone di molto meno risorse per il proprio funzionamento e questo è un handicap che si cumula anno su anno.
Sempre negli anni ‘80 è maturata la crisi ed il successivo collasso di buona parte delle grandi imprese. Di fronte all’accelerazione del processo di globalizzazione, queste, invece di concentrarsi sul business principale ed internazionalizzarsi, come facevano le concorrenti estere, si sono allargate in Italia in tutte le direzioni. Inoltre il modo con cui sono state realizzate le privatizzazioni è stato il frutto più di un’adesione ai canoni dettati dai mercati finanziari che di una politica industriale che puntasse a governare la crisi delle grandi imprese favorendone il passaggio dal controllo pubblico o familiare ad assetti manageriali sostenuti da strutture finanziarie confacenti. Tutto ciò ha concorso al ridimensionamento delle grandi imprese ed al rafforzamento dell’economia basata sul principio “piccolo è bello”.
Ora ci troviamo difronte ad un’altra trasformazione industriale epocale, guidata questa volta dalle nuove tecnologie, “disruptive” come si usa dire, più pericolosa della precedente, particolarmente per la struttura industriale Italiana.
Per spiegare la situazione caotica che il mondo industriale si trova ad affrontare, partiamo dal recente annuncio di Ford riguardo l’inizio di una collaborazione con Amazon per lo sviluppo di un auto self driving. Una scelta che sarebbe stata considerata inconcepibile sino ad un paio di anni fa. (Nel caso di Marchionne sino ad un paio di settimane fa).
Dopo essere sopravvissuta a guerre mondiali, spostamenti tettonici nell’economia, attacchi da concorrenti stranieri, e di più, Ford sa fin troppo bene quanto sia difficile la sopravvivenza nelle Fortune 500. Dal momento in cui la prima classifica Fortune 500 è stato pubblicata nel 1955, l’89% della lista è cambiato. Questo è sorprendente: in meno di una vita, i players dominanti nell’economia globale sono quasi completamente cambiati.
Tecnologicamente parlando, il 1955 e la maggior parte dei decenni successivi, sono stati i secoli bui. Oggi, gli imprenditori intelligenti possono utilizzare la potenza delle tecnologie emergenti ed hanno la capacità, spostando i mercati dei capitali, di “disrupt” qualsiasi modello di business più velocemente che mai. Con miliardi di smartphone, pressoché illimitata potenza di calcolo disponibile on-demand e produzione a contratto, le stesse forze che hanno scosso il settore tecnologico stanno causando sconvolgimenti in ogni altra industria.
È difficile pensare a un settore che non sia sotto attacco. Media, vendita al dettaglio, life sciences, l’assistenza sanitaria, i trasporti, l’ospitalità, l’agricoltura sono tutti sotto assedio dei nuovi prodotti che confondono i confini del fisico e del virtuale.
La maggior parte delle aziende tradizionali non sono preparate a rispondere a queste chiamate. Rallentati da regolamenti e procedure pesanti, anni di processi codificati e tecnologie invecchiate, gli operatori storici sono appesantiti a tal punto per cui gli è quasi impossibile muoversi abbastanza velocemente contro uno sfidante sgombro da tutti questi vincoli. Questo è il paradosso dell’industriale oggi: i sistemi, la gestione e le attività che hanno portato al successo nell’era industriale oggi bloccano l’azienda, in alcuni casi fatalmente.
È molto difficile per i manager nelle imprese esistenti rispondere efficacemente a questi attacchi; oggi vediamo che il passaggio dal mondo industriale a quella digitale è complesso anche per gli operatori più innovativi, essendo questo molto più di uno spostamento non lineare. Per una casa automobilistica una cosa è reagire ad un produttore che sviluppa auto più affidabili e più accessibili, come hanno dovuto affrontare negli anni 70. Un altro è rispondere alla minaccia che le auto non siano più di proprietà, o alla sfida della realizzazione di automobili auto-guida, che richiede fondamentalmente un set di abilità diverso da quello su cui si è investito da più di un secolo.
Per paura o per negazione, la maggior parte sceglie di sedersi e aspettare fino a quando il cambiamento sarà così profondo che le loro possibilità di movimento diventeranno più limitate di quello che ha oggi il settore dei taxi. Le rare eccezioni di successo nelle attuali grandi aziende manifatturiere avverranno tramite un mix di acquisizioni tecnologiche, investimenti in start-up, costruzione di operations nelle varie Silicon Valley, portandosi dentro le partnership adatte per trasformare le aziende.
Ford ha deciso di affrontare questa sfida sviluppando la tecnologia per l’auto self-driving direttamente ed in partnership con Amazon e potenzialmente Google, tenendo contemporaneamente presente le implicazioni di un modello di business in un mondo dove le auto vengono gestite in flotte, non parcheggiate nel nostro garage.
GE è uno dei migliori esempi di colosso industriale che sta avendo successo nel mondo digitale. Riconoscendo prima degli altri il potenziale di un mondo connesso, attraverso l’elaborazione dei big data e l’ottimizzazione costante dei suoi servizi, GE può ora spostarsi dal fornire prodotti a vendere soluzioni (ad esempio la vendita di risparmio energetico rispetto a turbine eoliche).
Per arrivarci avevano bisogno che ciascuna delle loro unità di business pensasse come un business digitale ed allo stesso tempo hanno dovuto creare software e capacità di calcolo centralizzati per standardizzare gli approcci a livello del conglomerato. Oggi, i successi dei loro sviluppi software li hanno portati ad affrontare l’offensiva nel campo di Internet of Things ed il lancio di GE Digital come unità autonoma con l’obiettivo di diventare una delle Top 10 società di software entro il 2020.
Il settore retail offre esempi di organizzazioni tradizionali che in partnership con start-ups riescono a trasformare un ex debolezza in un’arma. Con il commercio on line che offre una selezione infinita a prezzi imbattibili, serviti da magazzini centralizzati, invece che da migliaia di sedi dislocate, sembra quasi che ogni rivenditore sia destinato a subire la stessa sorte di Border o Blockbuster andando contro Amazon.
Ma i rivenditori fisici hanno la possibilità di avere il sopravvento, in quanto sono in grado di fornire sia lo shopping online che offline, offrendo una migliore convenienza dei loro rivali che hanno a disposizione solo una soluzione. Per arrivarci si stanno sviluppando una serie di partnership tra grandi catene di retailer e società internet specializzate per la consegna on- demand (con Uber pronta ad entrare presto nel ring).
In sostanza, non ci sono due strategie digitali uguali, ma è utile iniziare con al centro del proprio progetto la competenza principale dell’operatore storico.
In molti casi, l’M&A sarà per l’industria tradizionale la strada più veloce per l’acquisizione delle esperienze digitali giuste, dando così agli acquirenti un vantaggio in categorie emergenti, portando talento fresco, una serie di tecnologie moderne e nuovi modelli di business.
Con i trilioni di dollari ed euro seduti sui bilanci delle grandi multinazionali possiamo aspettarci nei prossimi anni che queste aziende diventino i più grandi acquisitori del mondo tecnologico, forse addirittura superando aziende tecnologiche tradizionali nel M&A di tecnologia.
Naturalmente, nessuno di questi sforzi sarà utile se non accompagnato dal cambiamento organizzativo e delle modalità di gestione delle società. Non è sufficiente avere i prodotti e la tecnologia giusta, perché questi risolvono il problema per un singolo momento. Le organizzazioni devono adattarsi per garantire l’innovazione e la competitività a lungo termine. Sarà fondamentale la capacità di separare le strutture organizzative e le dinamiche culturali che sono stati sviluppati per i più lenti processi dell’industrial-age, (come la produzione) da quelli in rapido movimento necessari per le esperienze a base digitale.
Proprio come Tesla è in grado di costruire auto in serie ed aggiornarle con regolari software upgrade – due diversi paradigmi operativi e skills – le aziende dovranno anche imparare ad evolvere lungo entrambe queste caratteristiche.
La maggior parte degli operatori storici al di fuori del mondo della tecnologia (e molti all’interno di esso) non sono preparati per questo tipo di futuro, e ogni giorno che passa si riduce la loro capacità di adattarsi nel tempo.
Per il mondo industriale italiano questo passaggio è ancora più complesso e critico. Molte delle Blue Chips non solo non si sono ancora mosse, ma non sembra nemmeno avere un chiaro piano d’azione. Le PMI non hanno la dimensione per affrontare queste sfide e sono restie ad integrarsi per raggiungere una massa sufficiente per gestire questi sviluppi. Inoltre il ritardo del paese nei progetti di digitalizzazione e nello sviluppo di poli tecnologici (vedi fuga dei cervelli) ci pone in una posizione svantaggiata rispetto ad altre economie manifatturiere.
Comunque, i prossimi anni saranno cruciali per qualsiasi azienda industriale che cerchi di mantenere la propria posizione di leadership. I consumatori non accetteranno attriti nelle loro esperienze di acquisto al dettaglio quando Amazon è un’alternativa. Le banche dovranno fare i conti con l’aumento delle scelte ed un mondo in cui la loro dislocazione fisica importa poco ai consumatori. E possedere un’auto può benissimo essere una cosa del passato, se Google e Uber hanno successo.
Il futuro sarà molto diverso; l’unica domanda è come gli industriali risponderanno.
Federico Laschet, Senior Advisor Fair Play.
Per visitare il profilo di Federico Laschet: http://www.fairplayconsulting.com/it/team/federico-laschet/
Per visitare il nostro prodotto specifico sull’Internet delle Cose: http://www.fairplayconsulting.com/it/iothink/
Per contattarci: info@fairplayconsulting.com